Progetto alimentare a Muhanga

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Il progetto che Smile Mission sta portando avanti grazie all’aiuto della Tavola Valdese sta arrivando al termine del secondo anno. Si tratta di un progetto di sostegno alla popolazione di Muhanga in Congo R.D. contro la grave crisi alimentare che stanno vivendo e che non sembra trovare fine. Ecco le relazione della seconda missione di Luisa Bertuetti: laureata in lettere, non fa parte del mondo dentale, ma sostiene Smile Mission ed il Congo, ed è stata sul luogo per due mesi, raccogliendo testimonianze e facendo lei stessa testimonianza con i suoi murales artistici e le fotografie toccanti.

Ci auguriamo che la Tavola Valdese continui ad appoggiare questo progetto, anche se l’augurio più grande sarebbe quello che non ce ne fosse più bisogno.

Vai alla relazione completa →

Inside AfricA

 

Luglio 2014 – Inside AfricA – di Luisa Bertuetti

Ogni viaggio degno di nota inizia con un’improvvisa illuminazione: un piccolo istante di sana sconsideratezza e di incontrollato entusiasmo per la scoperta, per il mondo e per l’umanità. Accade così in una giornata uggiosa di fine febbraio; arbitrariamente senza troppi piani e perché, prenotai un volo di andata per la RDC e uno di ritorno dalla Tanzania. Piano molto sfuocato, aperto al viaggio. Non sai mai cosa può accadere, chi puoi incontrare ed è bene essere aperti all’imprevisto, anzi accettarlo come un amico. Quattro mesi di vita dentro l’Africa, solo io. Una sfida senza dubbio, perché -e questo posso dirlo soprattutto a posteriori- l’Africa ti mette davvero a confronto con te stesso, senza nessuna via di fuga. Ma allo stesso tempo il viaggiatore solitario è libero e bramoso di scoprire il mondo che gli è attorno. Non è facile, ma ne va la pena.

Africa il continente, ma non solo. Una parola carica di simboli, di immagini, di profumi che reca con sé un alone esotico di misticismo. Una terra dalla bellezza travolgente, dalla natura aggressiva e ruvida, dall’umanità forte e fragile. Non Africa, ma “Afriche” direi… dalle molteplici e variegate realtà nonostante i confini netti tracciati con il righello, che vivisezionano la carta geografica come per ricordarci che le ferite del colonialismo sono ancora lì. E bruciano.

Riassumere la mia Africa qui in poche righe è davvero surreale. Settimane trascorse nella loro duplicità: lente e interminabili come le piogge della foresta congolese e voraci e intense come i tramonti della savana. Ho trascorso i primi tre mesi abbondanti nel Nord Kivu presso la missione di Padre Giovanni e Concetta a Muhanga. Due persone fantastiche, dal grande coraggio e umanità che hanno saputo accogliermi e farmi sentire come a casa. E poi il Kivu: aspro, contraddittorio, dalla natura selvaggia, dalla bellezza rara, dai colori vivaci, dai temporali forti e improvvisi, dalle maree di fango, dalla gente imperscrutabile e imprevedibile. Una realtà fragile e delicata, in cui entrare in punta di piedi. Un mondo rurale che regala giornate tiepide che profumano di serenità, trascorse all’aperto tra gli scherzi dei bambini, la pittura dei miei murales e le chiacchiere con la gente del villaggio. Piccoli gesti quotidiani, una profonda ritualità quella della vita nella foresta. Poi eventi più grandi di te, e ne resti travolto: ribelli, fucili, sparatorie, razzie, bambini soldato, elicotteri dell’ONU. In una sola parola, guerra. Tutto come in un film o come in un libro di storia? No, la guerra vera è paura, dolore; è una mamma che si carica il fagotto in spalle, le sue poche pentole e il materasso e parte con i bimbi. Il villaggio vuoto,  la gente scappa e non sa dove andare: forse la foresta, forse quaranta km a piedi per arrivare al villaggio più sicuro. Lasciare la propria casa, il proprio campo, ovvero iniziare una nuova battaglia: quella contro la fame. E in tutto questo l’indifferenza dei “grandi” enti umanitari internazionali. Forse che il valore della vita sia proporzionale al reddito pro capite? Il dubbio è ragionevole e la rabbia è tanta quando l’ingiustizia del mondo ti colpisce come un pugno in faccia. In tutto questo marasma, la gente della foresta resiste, lotta e regala emozioni. Un’umanità spontanea che ci ricorda che condividere è possibile, che sorridere è lecito e che stando insieme è più facile.

In una domenica mattina piovosa lascio Muhanga: qualche abbraccio fugace, trattengo le lacrime e si va. Preferisco partire con la pioggia, fa sempre meno male. Il viaggio per la Tanzania si prospetta lungo e polveroso. Strade sterrate e fangose costellate di crateri lunari, ritardi, città brulicanti di persone, traghetti, inconvenienti, aeroporti, autobus… ma finalmente, sabato arrivo a destinazione nella mia nuova casa, a Mlali. Impagabile la soddisfazione di farsi una doccia. Il centro ortopedico e di riabilitazione è una realtà collaudata da anni ormai. Padre Sergi e gli altri frati lo gestiscono con passione e tutt’intorno hanno coltivato giardini e alberi da frutta. La realtà tanzaniana mi colpisce subito per la diversità dall’asprezza congolese. Qui ogni cosa è morbida e sinuosa: i colori sono caldi, la terra è di un rosso secco e la temperatura è gentile. È la savana. Aiutare i bimbi di questo centro non è sempre facile, ma dona emozioni intense e facilmente mi faccio contagiare dal loro entusiasmo. Nel pomeriggio invece, mi dedico ad altre attività: lavoro nei campi, faccio la farina, vado al mercato con il pikipiki, mungo le mucche e cerco di imparare il kiswahili. E per un po’ non mi sento più una muzungu, ma parte integrate della vita di questo centro. I frati, nonostante l’iniziale diffidenza, sono deliziosi e mi trattano con dolcezza. Troppo breve purtroppo il mio soggiorno a Mlali. Parto con l’animo colmo di malinconia e con in bocca ancora lo squisito sapore del  morso fugace che ho potuto dare a questa bella e intensa Tanzania.

Questi mesi di vita nel centro Africa sono stati per me una necessità di vedere il “mio” mondo (più per questione di nascita che d’appartenenza) dall’altra parte del mondo, fuori dagli schemi rigidi della nostra società occidentale. Perché mi sono sempre detta, deve esistere un’altra via, un altro modo di vivere libero da tutte queste sovrastrutture che siamo tanto abituati a considerare necessarie.  E la risposta è che un altro modo c’è. Africa è ricchezza, non solo di materie prime, ma soprattutto di umanità, e che offre -a chi le vuol vedere- nuove prospettive; che ci insegna che la diversità è una risorsa. Dico a chi le vuol vedere perché troppo spesso ho incontrato persone occidentali in Africa che non si accorgono di quanto siano ancora figli del colonialismo, tradotto oggi giorno piuttosto in un colonialismo culturale. Uomini troppo spesso dimentichi che sono ospiti in un’altra terra e che è doveroso rispettarne la cultura, le tempistiche e la lingua. Uomini come paladini fieri di una cultura “civilizzata” e aggressiva che pretende di essere “civilizzante”, ma sempre e comunque con le proprie metodologie.

Tirare le somme di questi mesi è altrettanto difficile che raccontarli. Il rientro in Italia è stato ed è tutt’ora traumatico. Lo shock culturale esiste davvero. Senza dubbio è stata un’esperienza unica e rivelatrice: un biglietto di sola andata verso la consapevolezza. E ora… ora mi sento di parlare e condividere il mio vissuto con altri. È questa è un’altra sfida, contro l’indifferenza. Raccontare la verità andando oltre al solito buonismo, è impegnativo e scomodo. Credo che l’Africa non chieda un mero assistenzialismo, ma una presa di coscienza personale, che ci spinga a cambiare la nostra vita e a cercare di cambiare quella degli altri. La verità è che l’Occidente ha troppo perché qualcuno non ha. La verità è che l’Occidente ha rubato e continua a rubare portando avanti perverse e amorali politiche di sfruttamento in tutta l’Africa. E allora scoppio a ridere, ma di una risata cinica quando sento parlare di fame e di povertà con superficialità, di pietismo per il bambino africano che muore di fame e poi… poi esco di casa, mi riempio il frigorifero, spreco e compro i regali di Natale… e certo, un nuovo cellulare. Ah è vero quella storia sul coltan, ma tanto di certo non sarà il mio gesto a cambiare il mondo. Io invece, a volte, invidio il bambino africano che non è schiavo del consumismo, delle multinazionali e della superficialità e che nonostante le privazioni e la durezza che il futuro gli prospetta, è pieno di vita. Ed è libero, e non ha paura della natura o della notte o dei temporali. Non ha paura del diverso, non ha paura del contatto umano… non ha paura di vivere.

Luisa

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Pensieri dal Congo…

2011- “Pensieri dal Congo…” di Corrado “Chiodo” Bontempi, Vincenzo D’Amico, Paola Paiola

Puoi leggere la relazione dei volontari cliccando su: Pensieri dal congo -2011

Chiudi la porta e vai in Africa…

Giugno 2005 – “Chiudi la porta e vai in Africa…”   di Paola Paiola, Cesare Bacchini, Laura Miotello, Otello Merli

Il periodo in cui l’occidente concentrava tutta la sua attenzione sul nuovo Papa, sulle oscure vicende del governo italiano, sulle sconfitte della Ferrari, quattro amici volontari di SMILE MISSION onlus si trovavano a Lukanga, in un villaggio del Congo.

La Repubblica Democratica del Congo è uno stato dell’Africa centrale con una superficie otto volte più grande di quella italiana ma con lo stesso numero di abitanti. Si trova al 186° posto nella scala di sviluppo, e, nonostante questo spende, in proporzione, 10 volte più dell’Italia in armi ed esattamente il contrario nella sanità; potenzialmente uno dei più ricchi paesi africani, in realtà è uno dei più poveri.

Gran parte della popolazione tenta di sopravvivere allo sfaldarsi della società civile provocato dalla guerra civile attraverso una agricoltura di sussistenza e piccoli commerci.

Ci siamo recati qui nell’ambito di un programma per lo sviluppo della sanità promosso da organismi locali in collaborazione con la nostra associazione, programma che si basa sull’assistenza odontoiatrica ma che punta soprattutto alla formazione di personale locale per creare una collaborazione più costruttiva e che possa poi svilupparsi autonomamente.

Quando varchi la frontiera tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo, devi dimenticarti della parola asfalto, ma devi ricordarti che sei in un Paese che esiste veramente, mentre il resto del mondo sembra essersene dimenticato.

Non era per noi la prima volta in Africa, ma l’impatto è stato travolgente, disarmante e impossibile da trasmettere a parole!

Forse raccontando una delle mille esperienze che abbiamo avuto ne possiamo dare una piccolissima idea: tutte le sere, dopo il lavoro, passeggiavamo per il villaggio ed io, tenevo per mano Eluan, un bambino tra i tantissimi del Congo, che vive una vita talmente dura che se quando morirà lo faranno santo, sicuramente non gli regaleranno niente.

 

Eluan si alza tutte le mattine dalle frasche su cui dorme, se è fortunato, oppure da terra, non va a scuola perchè non se lo può permettere ed inizia a girare per il villaggio con la sua maglietta rossa stracciata ed un pallone di stracci.

Non sa se fino a sera mangerà e che cosa mangerà, però è la sua vita e quella dei suoi fratelli ed amici e quindi si va avanti così, con la già grande fortuna di non aver ancora incontrato nessuno che gli ha piazzato in mano un fucile per mandarlo a combattere una guerra di cui non sa nemmeno il nome.

Ci siamo incontrati una sera su una collina di Lukanga e le nostre mani si sono attirate, e così tutte le sere, ore trascorse insieme senza parlare, ma dove uno sguardo e un gesto riempiono più di mille parole.

Ed io pensavo “ma che gli potrei  dire? che vivo in un Paese infinitamente più agiato del suo, che non ho mai vissuto una guerra, che mangio ogni giorno quello che voglio, che ho una casa tutta mia, una macchina, che in case come la sua qui da noi non ci mettono neppure le galline….”

L’Africa è un posto meraviglioso, gli africani sono un popolo meraviglioso ma per mille motivi se la passano veramente male.

Eppure Eluan mi ha donato tanto; il modo con cui mi ha salutato ha dimostrato tutta la forza e la saggezza che solo un bambino congolese può avere, con uno sguardo carico di promesse ed aspettative che ti lacera il cuore e così il “mal d’Africa” peggiora sempre di più…

Questa è la storia di Eluan, ma come lui c’è la storia di Kavira, di Mbere, di Beatrice, di Matsoro e di mille altri abitanti di Lukanga…

Penso che tutti quelli che potranno assaporare questa esperienza, non smetteranno mai di raccontarla, perchè nessuno può dimenticare quanto è bello un posto che ci aspetta; un qualcuno che è la per noi, un bambino, un vecchio, un malato che è capace di prenderci per mano e di farci immaginare, inventare un mondo nuovo e che quando dobbiamo ripartire, con la stessa naturalezza e leggerezza ci lascia e ci dice una sola parola; a presto.

Questo è meraviglioso, ed il distacco, anche se fa male, diventa quasi dolce, finalmente umano.

Eluan ha saputo farmi inventare una strada da me fino a lui, in mezzo ad una terra che spesso è in silenzio e non vuole parlare o non può parlare, una strada bella, una strada da qui a Lukanga.

Credo che l’Africa si comprende nel momento in cui, senza motivo apparente, ti commuove e ci si abbandona a un pianto tanto difficile da giustificare quanto liberatorio.

Il “mal d’Africa” non è la nostalgia dei luoghi, ma la nostalgia dei sentimenti che quei luoghi e quelle persone formano.

Le emozioni che ci si porta dentro sono tanto forti, quanto difficili da descrivere, e l’invito è lo stesso dell’ultimo lavoro musicale di Francesco De Gregori: Chiudi la porta, e vai in Africa…..Celestino…….

 

Frammenti di viaggio

Agosto 2005 – “Frammenti di viaggio” di Floriana Modica Missione di Muhanga, Nord Kivu.

La Missione è stata fondata da Padre Giovanni Piumatti, pinerolese, da Concetta Pedriligieri, modicana e da un gruppo di famiglie locali che circa quattro anni fa si sono spostati dal villaggio di Lukanga (dove hanno vissuto tanti anni) a causa di conflitti, frequenti tra le famiglie, sui campi da coltivare in relazione all’aumento della popolazione, e si sono fermati in un luogo ancora vergine…..Muhanga.

Muhanga si trova a 60 Km dalla “strada”, in foresta; ha molto spazio ed un terreno buono ed abbondante.
Giovanni, Concetta e tutti gli abitanti del villaggio, che oggi conta circa 200 famiglie più altre 500 sparpagliate nei dintorni, hanno attraversato momenti critici a causa dei conflitti che in questi anni hanno visto protagonisti lo Stato (che governa da Kinshasa, la capitale) e altri quattro gruppi ribelli in opposizione.
Fino a poco tempo fà Muhanga ha avuto intorno interahamwe, mayi mayi, banditi, militari disertori, che hanno saccheggiato il villaggio, rubato, picchiato e ferito molte persone.
La gente è stata costretta a scappare più volte, ad abbandonare le loro capanne ed a ritornare per ricominciare ogni volta da capo.

Attualmente la situazione politica sembra apparentemente più tranquilla: per gli abitanti del villaggio noi europei oggi siamo la testimonianza tangibile che la guerra è finita…..se possiamo andarli a trovare.
Ci ringraziano molto e si mostrano sinceramente contenti di poter essere di interesse per altri popoli.
Anche europei.
Anche se dietro tutti questi conflitti, apparentemente tribali, c’è un po’ di Europa e molto degli Stati Uniti.
Ma di questo loro forse non sono consapevoli.
E ci accolgono con la luce negli occhi ed un sorriso sincero.
Spesso abbiamo provato la sensazione di non saper cosa fare, di sentirci inutili: parallelamente questo è quello che prova l’africano che non và a scuola, che usa la zappa, il macete e che deve organizzarsi la giornata, la vita.
Qui c’è la fatica di organizzarsi ma al contempo si vive pienamente la vita che in sostanza è gestita autonomamente da ognuno.
In Occidente invece ci organizzano tutto.
In Africa si vive il rischio, l’Occidente ci toglie questa possibilità.

Abbiamo visto costruire la nuova scuola del villaggio, tutti partecipano portando i mattoni….
Bambini che portano carichi pesanti per la loro età, il loro peso e la loro statura.
Bambini con dietro la schiena un fratellino o una sorellina più piccoli e i mattoni sulla testa………scalzi.
Bambini che la mattina si fanno i chilometri a piedi nudi per andare a scuola, senza zaino e solo con un sacchetto con dentro un quaderno ed una penna.
I bambini….quello che ci hanno regalato lo porteremo sempre con noi.
Leona, Victuar, Leopold, Fidele, Tungane, Noel, Amani, Manuel, Cristel, e tantissimi altri ci hanno mostrato un essere bambini diverso da quello a cui siamo abituati.
Lì non si piange mai per capriccio ma solo se ci si fa male.

Lì vige un grande rispetto delle regole e dei confini relazionali, i bambini sono in grado di autoregolarsi da soli e riescono ad organizzarsi autonomamente per giocare, anche in gruppi ampi, senza la mediazione di un adulto.

Sono aperti all’interazione sia verbale che soprattutto non verbale con le persone, appaiono poco timorosi del contatto fisico, molto propensi a cercarlo e fortemente propositivi nella “relazione” umana.

In Africa i bambini diventano adulti prima.
Già da piccoli, con i loro fratellini sulle spalle, zappano la terra.
Ma si divertono anche.
Con poco.
Hanno la capacità di inventare giochi, costruire giocattoli……di non annoiarsi senza “aver nulla da fare”.
Ma soprattutto di non lamentarsi.
Di nulla.
Neanche di mangiare una volta al giorno.
Anche se questa stessa volta può saltare.
La pietanza base è il bugali, un misto di farina di manioca e acqua (simile alla nostra polenta) che si intinge in salsine di legumi.

I più fortunati possono mangiare anche patate dolci e fagioli…..quasi mai si assaggia della carne.
Un giorno è stato organizzato un pranzo per i bambini con queste pietanze e un pezzettino di maiale ciascuno.
La loro gioia.
Un piatto per gruppetto, dove tutti hanno mangiato insieme con le mani.
Alla fine ognuno di loro ha preso qualche pezzo di cibo e lo ha messo in tasca o lo ha tenuto nelle mani per portarlo ai genitori.
Accade sempre così ai pochi pranzi dei bambini.
Per loro è una grande festa.
Per alcuni l’unica possibilità di mangiare un po’ di carne.

La sera di quello stesso giorno,al momento dei canti con i bimbi, una bambina, Leona, mi ha preso la mano e mi ha chiuso dentro una poltiglia…..
cos’era?

Un pezzo di quel maiale masticato…. Leona l’ha tolto dalla sua bocca per donarmelo.
Per ringraziarmi di averle rammendato dei vestiti.
Un gesto simbolico, di forte impatto emotivo.
Lo ha rifatto altre due sere consecutive.
Il maiale era sempre di quel pezzettino del pranzo…. praticamente non si è mangiata quasi nulla.
Per donare di sé.

Si è completata in alcuni dettagli la nuova maternità che Concetta e la gente del villaggio ha costruito ed abbiamo avuto la fortuna di assistere al primo parto in questa nuova struttura chiamata Dispensario.
Come avviene il parto?
In modo assolutamente diverso da quello che conosciamo…
non tanto per l’aspetto puramente pratico, che ovviamente è universale, ma per il contorno.
La signora in questione è giunta a Muhanga da una zona vicina dopo 1 giorno e mezzo di cammino a piedi con le doglie, accompagnata dalla propria madre.
Arrivata ha subito partorito, con l’aiuto di Concetta, senza un gemito di dolore (le donne africane non urlano durante il parto) e poi si è sdraiata lateralmente, vestita come è arrivata, su una sorta di barella e si è attaccata il piccolo al seno.
Dopo è arrivata la madre con alcune parenti e la cena per la figlia.
Sono rimaste un po’ tutte insieme, solo donne, perché gli uomini, per convenzione, non partecipano a questi momenti.
L’indomani mattina la neo-mamma si è legata il piccolo dietro la schiena in quel modo affascinante e così materno che solo le madri africane utilizzano, ed è ripartita a piedi per la sua capanna.
Niente giorni di degenza, confetti, lamentele e quant’altro noi siamo abituati a vedere.
L’impatto con l’Africa è stato traumatico e affascinante nello stesso tempo.
Questo continente ha una capacità di adattamento, visibile nella gente comune, che società appagate come la nostra non sono più in grado di avere.

L’Africa è un nervo scoperto perché rappresenta qualcosa di incompiuto, una parte del mondo che non è stata completamente permeata dalla civiltà vincente.

L’Africa attuale è un continente che forse non sa dove andare, abbagliato dal mito dell’Occidente e al contempo deluso, rassegnato, roso dalla corruzione e dilaniato dai conflitti armati.

E’ stato l’Occidente, con il suo bisogno di espansione, forza lavoro, materie prime, che ha spinto le civiltà africane su binari che non erano i loro.

Un giorno o l’altro bisognerà liberarsi dalla finta correttezza politica che ci circonda, dal perbenismo intellettuale di circostanza e osare dire quello che veramente accade in un pezzo di mondo che conta il doppio della popolazione occidentale e che versa in condizioni di sussistenza.
Una parte di mondo dove si vive per sopravvivere.
No, gli uomini non sono tutti uguali, si le razze esistono e si dividono in inferiori e superiori.
Questo è quello che passa il mito Occidentale. Bisogna denunciare quello che succede davvero.

Lo scandalo in Africa è la quotidianità, sorridono pur non avendo scarpe, pur mangiando una volta al giorno; qui delle cose non ne fanno un idolo come in Occidente.

E noi?

Noi che apparteniamo alla parte ricca dovremmo arrabbiaci dentro per un bambino che sorride e muore di fame.

Viaggio in Africa

Gennaio 2006 – Il viaggio: di Cristiana Grassucci, Piero Lauri, Ursula e Karel Decaesstecker

Puoi leggere la relazione dei volontari cliccando qui

Non ho nulla da insegnare lì

Settembre 2006 – “… non ho nulla da insegnare lì …” di Marco Verrando  foto di Claudio Strada

Sono davvero entusiasta dei risultati della Scuola Dentale proposta e realizzata da SmileMission. Complimenti a tutti quanti mi hanno preceduto perchè il frutto è davvero giunto a maturazione in ottime condizioni.

Prova ne è che il mio compagno di missione Claudio Strada, quando a Lukanga ha visto usare la diga, ha candidamente ammesso di  non aver nulla da insegnare lì e se ne andato a Muhanga dove ha trovato di che poter dare.

In Africa io trovo ogni volta che vado, una grande armonia tra e con le persone, la natura e gli eventi.

E per me sempre un viaggio terapeutico perchè la vita ha un sapore diverso, più pieno e gustoso e soprattutto vero.

Ogni gesto, ogni atto, ogni fatto sono reali, essenziali e necessari e quanto mai gratificanti; se a questo aggiungiamo l’incontro con persone straordinarie che hanno deciso di dare il loro contributo a quell angolo di mondo, è sempre con un po di rammarico che si rientra nel primo mondo dove si corre e ci si affanna per sopravvivere senza avere mai soddisfatti i nostri falsi bisogni.

Nella piccola e ideale Repubblica del Che Guevara Piumatti il problema di uno è il problema di tutti, se ne discute nell’assemblea del villaggio, sorgono i comitati che si occuperanno delle soluzioni e si arriva in fondo con l’aiuto di un po di sana e utile tecnologia, vedi turbine per la corrente elettrica, la maternità in costruzione, ecc.

In buona salute sono i “professionisti” congolesi che sia in ambulatorio che in laboratorio fanno domande sottili e sempre più difficili perchè la loro voglia di sapere li spinge sempre oltre. Per dicembre aspettano i prossimi volontari con libri di odontoiatria in francese ed approfondimenti su placche di svincolo e chirurgia orale avanzata.

Gli ospedali del distretto hanno chiesto di inviare loro personale per un nuovo corso di formazione nel settore odontoiatrico.

I pazienti a tratti meno numerosi per via delle difficili condizioni economiche, hanno difficoltà per pagare anche solo i 13 $ richiesti per una protesi parziale, e questo ci deve far riflettere perchè si traduce in una riduzione del lavoro per lo staff, peraltro risolto dal loro spirito solidale e cooperativo per cui si lavora a turno e si dividono equamente gli introiti ridotti. Il Comitato di Gestione della Scuola dentale di Lukanga ha chiesto di acquistare un lotto di terreno confinante con l’edificio dell’ambulatorio, dove sorge una casetta  per poter dare alloggio a pazienti e studenti non residenti nel villaggio.

La popolazione vive finalmente la pace dopo anni di sofferenze e lutti, 10 anni di guerra hanno causato milioni di morti, pare due volte l’Olocausto, ma poco si parla di questa tragedia.

Un giorno è scoppiato un pneumatico e la gente è scappata terrorizzata pensando ad un colpo d’arma da fuoco!

Mi prolungherò su questa esperienza congolese, in altra occasione con immagini straordinarie di quei luoghi e con il messaggio di Giovanni che invita a recuperare i valore che l’Europa ha ormai perduto e che invece l’Africa ancora vive.

In questo sta lo scambio costruttivo perchè entrambi ci si possa vicendevolmente completare, perchè sotto certi aspetti la legge della giungla è nella Società Europea e alla domanda dove è veramente il terzo mondo è difficile rispondere.

In un orecchio vi dico che la tentazione di diventare africano è sempre più forte in me e se si verificassero le condizioni giuste….

Un abbraccio a tutto il popolo SmileMission.

 

Relazione di chiusura progetto

Novembre 2006 – Relazione di chiusura progetto – Relazione di apertura processo presentata alla riunione del Gruppo Africa, Cattolica, 26-11-2006  di Marco Rocco

Del progetto Congo vorrei parlare partendo da quello che c’è là oggi, da ciò che vedreste voi se andaste là oggi.

Partendo da lontano: dr. Mundama, medico, dirigente del Ministero della Salute del nord KIWU: ha creduto nel progetto dall’inizio; ha esaminato e consegnato i diplomi agli allievi infermieri dentali e odontotecnici nell’agosto 2005. Ora chiede che:

  • Si aiuti nella didattica per il secondo gruppo di allievi
  • I volontari relazionino direttamente a lui dopo ogni missione sul lavoro del laboratorio e dell’ambulatorio e sul livello di preparazione e di aggiornamento dei nuovi allievi e degli operatori già diplomati.

In Congo (un paese in grande trasformazione democratica) quest’anno è stato fatto un censimento degli operatori sanitari (è stato rilasciato un tesserino) per autorizzare all’esercizio della professione.

Anche gli infermieri dentali e gli odontotecnici diplomati nel nostro progetto sono stati censiti e autorizzati dal ministero a svolgere una mansione sanitaria pubblica in tutto lo stato del Congo.

L’assemblea generale: 30 persone circa, di ogni età che hanno lavorato alla costruzione e si preoccupano della manutenzione dell’ambulatorio e del laboratorio: è la base del governo del progetto, mentre il comitato è l’organo ristretto.

Il comitato della scuola: (Kasereka, Matzoro, Kaindo, Turi, Brigitta, Ephrem, Pecos, Gilbert, Maria.) cura la gestione della scuola (ambulatorio e laboratorio), la scelta dei nuovi allievi, listino prezzi, stipendi; ha potere decisionale sulla politica sanitaria della struttura, sulle spese e valuta il bilancio.

Gli utenti: arrivano dal villaggio e dai dintorni a piedi, in bicicletta, in moto e qualcuno in auto con fiducia nella professionalità degli operatori, e consapevoli che i prezzi sono abbordabili.

I ragazzi diplomati l’anno scorso: MwaminiBeatriceEsperanceTiziana, Beatrice (dettaKimbulu), NarciseMatsoroKavira (Makoma), KahindoFasilaBartolomeoNyavingi. Oggi sono veramente bravi: merito dei maestri che hanno avuto (in primis Laura Cometti e Sergio e poi tutti gli altri che si sono succeduti), ma anche del loro impegno a capire, ad attuare e a migliorare le tecniche apprese.

Lodevole l’armonia che c’è nell’equipe, e la consapevolezza di aver ben acquisito un’arte e di aver la disponibilità di trasmetterla ai nuovi allievi. Il nuovo parroco e il curato credono nella prevenzione e permettono agli infermieri dentali di organizzare assemblee con centinaia di persone cui insegnano l’igiene orale. Con molta attenzione la gente segue l’insegnamento e interviene con domande pertinenti! Il preside di una scuola elementare manda una scolaresca  per settimana all’ambulatorio, per ricevere istruzione sull’igiene orale.

E veniamo alla struttura: dotata di ambulatorio con due poltrone, laboratorio perfettamente arredato e dotato di tutto, magazzino materiali, locali tecnici.

Attività svolte:

  • Informazione all’igiene
  • Pulizia del tartaro
  • Piccole otturazioni
  • Avulsioni dentarie con anestesia
  • Laboratorio: protesi totali
  • Protesi parziali in resina

Muhanga (a 120 Km da Lukanga, 10-14 ore di viaggio ) ci sono già un laboratorio e un ambulatorio dentistico nei locali del dispensario. Ci sono le attrezzature che però devono essere ancora istallate. Anche qui nuovi allievi vengono già istruiti dai diplomati che a turno di 1 mese si trasferiscono qui da Lukanga per insegnare agli allievi. Perciò il primo progetto si può dire brillantemente concluso, ma già ne è partito un altro sullo stesso cliché.

Per continuare il nuovo progetto didattico (ma sarebbe più corretto non definirlo riduttivamente progetto, ma meglio “processo didattico e di crescita”) occorre:

  • Un tecnico che vada a Muhanga x istallare i riuniti e la nuova attrezzatura.
  • Mettere a punto i programmi di insegnamento scrivendo i testi in italiano e poi tradurli in francese e in swaili (lingua locale).
  • Trovare testi in francese con buona iconografia, un cranio con mandibola.
  • Organizzare un team di insegnanti italiani e locali per insegnare a infermieri e odontotecnici e periodi di didattica, distribuendo i programmi.
  • Contattare e coinvolgere gli insegnanti del primo corso per conoscere tempi e difficoltà dell’apprendimento.
  • Mettere a punto sistemi di valutazione e come comunicare l’andamento del corso al dr. Mundama.
  • Decidere sui protocolli operativi e sulla didattica e di come accordarsi con i volontari in missione.
  • Sostenere l’immagine e la capacità professionale degli (ex)allievi per limitare il fenomeno della diminuzione di lavoro in assenza dei volontari italiani.

Rileggendo questo programma mI viene da sorridere sull’efficientismo tipico di noi occidentali. In Congo, questo nostro modo di organizzarsi da noi molto apprezzato,  cozza con la mentalità locale e non la spunta….Dobbiamo prepararci ad adattarci alla mentalità diversa, disponendoci ad apprezzare ciò che è diverso. In una scuola valida gli allievi non si devono adattare ai ritmi degli insegnanti, ma i docenti si adattano ai ritmi dell’apprendimento

Al primo corso di Lukanga qualcuno degli allievi era quasi analfabeta. Con la pazienza dei compagni e dei maestri tutti sono arrivati al diploma inteso non come pezzo di carta, ma come capacità professionale e soprattutto umana: la corsa al successo non consiste nell’arrivare primi, ma nell’arrivare tutti insieme.

Questa è la grande lezione dell’Africa.