Chiudi la porta e vai in Africa…

Giugno 2005 – “Chiudi la porta e vai in Africa…”   di Paola Paiola, Cesare Bacchini, Laura Miotello, Otello Merli

Il periodo in cui l’occidente concentrava tutta la sua attenzione sul nuovo Papa, sulle oscure vicende del governo italiano, sulle sconfitte della Ferrari, quattro amici volontari di SMILE MISSION onlus si trovavano a Lukanga, in un villaggio del Congo.

La Repubblica Democratica del Congo è uno stato dell’Africa centrale con una superficie otto volte più grande di quella italiana ma con lo stesso numero di abitanti. Si trova al 186° posto nella scala di sviluppo, e, nonostante questo spende, in proporzione, 10 volte più dell’Italia in armi ed esattamente il contrario nella sanità; potenzialmente uno dei più ricchi paesi africani, in realtà è uno dei più poveri.

Gran parte della popolazione tenta di sopravvivere allo sfaldarsi della società civile provocato dalla guerra civile attraverso una agricoltura di sussistenza e piccoli commerci.

Ci siamo recati qui nell’ambito di un programma per lo sviluppo della sanità promosso da organismi locali in collaborazione con la nostra associazione, programma che si basa sull’assistenza odontoiatrica ma che punta soprattutto alla formazione di personale locale per creare una collaborazione più costruttiva e che possa poi svilupparsi autonomamente.

Quando varchi la frontiera tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo, devi dimenticarti della parola asfalto, ma devi ricordarti che sei in un Paese che esiste veramente, mentre il resto del mondo sembra essersene dimenticato.

Non era per noi la prima volta in Africa, ma l’impatto è stato travolgente, disarmante e impossibile da trasmettere a parole!

Forse raccontando una delle mille esperienze che abbiamo avuto ne possiamo dare una piccolissima idea: tutte le sere, dopo il lavoro, passeggiavamo per il villaggio ed io, tenevo per mano Eluan, un bambino tra i tantissimi del Congo, che vive una vita talmente dura che se quando morirà lo faranno santo, sicuramente non gli regaleranno niente.

 

Eluan si alza tutte le mattine dalle frasche su cui dorme, se è fortunato, oppure da terra, non va a scuola perchè non se lo può permettere ed inizia a girare per il villaggio con la sua maglietta rossa stracciata ed un pallone di stracci.

Non sa se fino a sera mangerà e che cosa mangerà, però è la sua vita e quella dei suoi fratelli ed amici e quindi si va avanti così, con la già grande fortuna di non aver ancora incontrato nessuno che gli ha piazzato in mano un fucile per mandarlo a combattere una guerra di cui non sa nemmeno il nome.

Ci siamo incontrati una sera su una collina di Lukanga e le nostre mani si sono attirate, e così tutte le sere, ore trascorse insieme senza parlare, ma dove uno sguardo e un gesto riempiono più di mille parole.

Ed io pensavo “ma che gli potrei  dire? che vivo in un Paese infinitamente più agiato del suo, che non ho mai vissuto una guerra, che mangio ogni giorno quello che voglio, che ho una casa tutta mia, una macchina, che in case come la sua qui da noi non ci mettono neppure le galline….”

L’Africa è un posto meraviglioso, gli africani sono un popolo meraviglioso ma per mille motivi se la passano veramente male.

Eppure Eluan mi ha donato tanto; il modo con cui mi ha salutato ha dimostrato tutta la forza e la saggezza che solo un bambino congolese può avere, con uno sguardo carico di promesse ed aspettative che ti lacera il cuore e così il “mal d’Africa” peggiora sempre di più…

Questa è la storia di Eluan, ma come lui c’è la storia di Kavira, di Mbere, di Beatrice, di Matsoro e di mille altri abitanti di Lukanga…

Penso che tutti quelli che potranno assaporare questa esperienza, non smetteranno mai di raccontarla, perchè nessuno può dimenticare quanto è bello un posto che ci aspetta; un qualcuno che è la per noi, un bambino, un vecchio, un malato che è capace di prenderci per mano e di farci immaginare, inventare un mondo nuovo e che quando dobbiamo ripartire, con la stessa naturalezza e leggerezza ci lascia e ci dice una sola parola; a presto.

Questo è meraviglioso, ed il distacco, anche se fa male, diventa quasi dolce, finalmente umano.

Eluan ha saputo farmi inventare una strada da me fino a lui, in mezzo ad una terra che spesso è in silenzio e non vuole parlare o non può parlare, una strada bella, una strada da qui a Lukanga.

Credo che l’Africa si comprende nel momento in cui, senza motivo apparente, ti commuove e ci si abbandona a un pianto tanto difficile da giustificare quanto liberatorio.

Il “mal d’Africa” non è la nostalgia dei luoghi, ma la nostalgia dei sentimenti che quei luoghi e quelle persone formano.

Le emozioni che ci si porta dentro sono tanto forti, quanto difficili da descrivere, e l’invito è lo stesso dell’ultimo lavoro musicale di Francesco De Gregori: Chiudi la porta, e vai in Africa…..Celestino…….