Tutto comincia con un piccolo aeroporto alle porte dell’Amazzonia

Agosto 2006 “Tutto comincia con un piccolo aeroporto alle porte dell’Amazzonia” di Riccardo Negri

Decollo da San Paolo, direzione Francoforte ma soprattutto Europa. Fine di un lungo viaggio, di una lunga esperienza di vita. Sostituisco il rumore sordo dei motori dell’aereo alle note di Refazenda, Gilberto Gil, nel tentativo di ripercorrere a ritroso il mese trascorso oltreoceano e raccogliere in un pugno di pensieri e parole i sentimenti che mi hanno accompagnato in questo cammino.

Perchè propria di questo si tratta: una somma di emozioni dettate dall’anima stessa del Brasile che si rivela attraverso i suoi bambini, la sua natura, le sue strade la sua gente. Ricordo l’attesa, che come sempre rende il meritato sapore alle esperienze, come un misto di timore e entusiasmo, poi la partenza, il viaggio, i disagi e le attese, accompagnate da un impressione di incertezza e paura. Del resto lunghe permanenze in paesi di cui non conosco nulla non fanno parte delle mie abitudini; mi chiedevo che cosa avrei mangiato, se avrei potuto curare la mia igiene con regolarità, se mi sarei adattato alla cultura e abitudini del luogo.

Tutte domande lecite per chi come me, occidentale (e cocco di mamma), è abituato a tutti i comfort, alla cucina della nonna, alla doccia tutti i giorni, a trasporti comodi e rapidi. Tutto comincia con un piccolo areoporto alle porte dell’Amazzonia, tre volti sorridenti ad accogliermi, il convento, gli altri ospiti, il primo delizioso succo di frutta e la prima notte dall’altra parte del mondo.

Insieme a me ci sono Daniela, odontoiatra, con il figlio Daniele e il marito Gigi, oltre a Bruna, Laura e Mariele, tre giovani animatrici. Il convento è accogliente, e all’inizio sembra un labirinto di cortili, aule d’asilo, corridoi, refettori e dormitori, la vita al suo interno è frenetica. L’equipaggio è formato dalla madre superiora suor Flavia e da suor Sida, instancabili, da suor Maria e da Nazarè sempre sorridenti e solari e infine suor Rina, grande cuore e inarrestabile motore. All’interno del convento tutte le mansioni sono equamente distribuite e vige una vera organizzazione democratica. Si cucina a turno, nessuno serve a tavola ma tutti si alzano per servirsi, c’è chi cuce e chi lava, chi gestisce i trasporti e chi segue l’aspetto sanitario.

La parte preponderante della missione è l’asilo che ospita 350 bambini e un oratorio che funziona da doposcuola e raccoglie i bambini del quartiere allontanandoli dal lavoro minorile e dalla delinquenza di strada. L’aspetto sanitario è seguito da Suor Rina che coltiva direttamente nel suo orto i rimedi fitoterapici destinati ai pazienti, inoltre sono presenti un ambulatorio odontoiatrico, uno pediatrico e uno di medicina generale. Daniela ed io con l’aiuto dell’inesauribile assistente, gestivamo l’aspetto odontoiatrico privilegiando soprattutto l’attività educativa e preventiva sui bambini; Bruna, Laura e Mariele insieme agli animatori locali preparavano attività ricreative nell’oratorio e nell’asilo. Nella missione tutto ruota intorno ai bambini.

Il Brasile stesso è i suoi bambini. Impossibile non avvertire fin da subito la loro grande presenza. Confesso di non aver mai ricevuto e dato così tanti abbracci.   Abbracci fatti di una semplicità dignitosa e al contempo  dolcissima… Ecco perchè in principio ho parlato di sentimenti. Perchè questa esperienza mi ha lasciato fotografie di emozioni più che di paesaggi, persone o chiese. La mia terra sembra così distante.

Non esiste per noi odontoiatri una ricompensa pecuniaria paragonabile ad un abbraccio disinteressato; non esiste un sorriso che non sia sentito e vissuto con l’intensità della più pura emozione.

Si dimenticano lo stress e le velleità che in occidente imbavagliano il cuore.

Ci si riavvicina all’essenza di ogni gesto dimenticando che dall’altra parte del mondo tutto è solo un mezzo al servizio delle nostre ambizioni.

Analizzando la mia esperienza, senza la pretesa di renderne universali i contenuti, mi accorgo che è stata soprattutto interiore e che probabilmente ho ricevuto dal Brasile e dalla sua gente più di quanto io abbia cercato di donare; e tutto ciò in maniera involontaria, spontanea e inaspettata.. Non credo che serva approfondire con sterili descrizioni le escursioni, le visite ai villaggi, la splendida flora e fauna locale, tutto ciò andrebbe vissuto e sentito.

Nonostante il mio rapporto con Dio e con la religione sia ormai terminato da molti anni, la vita nel convento a contatto diretto con persone che hanno fatto di Dio la ragione della vita è stato intenso e accrescitivo, mi ha permesso di riappropriarmi di una spiritualità che avevo dimenticato.

Ci sono state discussioni sincere, aperte sul modo di percepire la vita, sui valori, sui rapporti con gli altri e non è stato necessario fingere per potersi conformare…

E domani rinizierà il lavoro. Dovrò sorridere cento volte a cento persone che quantificheranno la qualità del mio lavoro con altrettanto denaro. Ma io so già che questi sorrisi non mi riempiranno il cuore, ma saranno solo una maschera. E così ora che son tornato ho dato il mio personale significato alla parola saudage. Certo una profonda malinconia per i luoghi, i paesaggi, le persone incontrate lungo il cammino, la musica ma soprattutto una profonda malinconia per il calore della gente, la sua semplicità che non necessita di apparenze e nello stesso tempo ti riavvicina alle manifestazioni più vere e sincere della vita.

Grazie Brasile.