Pole pole
Settembre 2005 Pole pole di LorenzoVichi
Dopo un inizio (qui in Italia) un pò scettico, abbiamo riempito i nostri zaini di passione e voglia di fare e siamo partiti. Due giorni di viaggio, pernotto compreso,si fanno sentire ma, una volta arrivati nella missione, tutto come d’incanto svanisce. La nostra stanchezza dovuta al caldo e alla polvere respirata lungo la strada, non esiste più. Ci accorgiamo ben presto che sempre più spesso usiamo impropriamente termini come dolore,sofferenza,povertà a cui attribuiamo un significato non consono.
Qui la gente vive in case fatte di terra, questa rossa terra bagnata solo dalle lacrime dei bambini, al cui interno non v’è acqua, luce, ne tantomeno bagno. Pochi hanno un tetto in lamiera, i più se lo costruiscono con quello che la terra gli offre, foglie, arbusti.
Pole pole (piano piano in kiswaili) ci rendiamo conto che questo è veramente un’altro mondo. Nel tragitto che ci conduce alla missione quello che ci colpisce, che non ci abbandonerà mai durante i 15 giorni, e che ancora ci stiamo portando dentro a 5 giorni dal nostro rientro, sono i sorrisi che questa meravigliosa gente è in grado di regalare.Questi caldi teneri sorrisi che, solo a guardarli, ci riempono il cuore di un qualche cosa mai provato.45 minuti di fuoristrada, quello vero, e giungiamo alla missione, ben costruita, ben organizzata, pulita.
Un pezzo di “non Africa” dentro l’Africa. Padre Francesco ci scorta ai nostri alloggi e ci spiega un pò come funzionano le cose. Non è un uomo di molte parole ma quando parla si fa capire e bene. E’ comunque una persona squisita e ottimo giocatote di bigliardino, che lui chiama calcino, ve ne accorgerete. L’indomani è ormai arrivato, siamo tutti pronti. Prendiamo contatto con lo studio ed il laboratorio.
Ci guardiamo un pò attorno e ci saltano subito all’occhio diverse leve da estrazione irrimediabilmente storte. Capiamo subito il perchè, la compattezza d’osso di questi “africani” è invidiabile, in qualche caso c’è da sudare. Tutto bene comunque, i giorni scorrono senza problemi e una volta chiuso lo studio giriamo per Mlali stupiti ed affascinati da tutto ciò che ci circonda. Tanto avevamo sentito parlare d’Africa, ma esserci è un’altra cosa. Camminare tra questa gente e respirare la loro polvere ci apre gli occhi su uno squarcio di mondo che le nostre atrofizzate coscienze non vogliono vedere.
Nello spicchio di “non Africa”, la missione, è come vivere in un’oasi. Abbiamo tutto. Acqua corrente, luce, gas, tanto che ogni volta che rientriamo e ne usufruiamo ci sentiamo un pò in colpa. C’è chi ormai da due ore è rientrato nella sua buia casa di terra e attende la luce di uno stesso giorno. 15 giorni meravigliosi, consigliamo a chi andrà dopo di noi di spendere più tempo possibile con i bambini, dentro e fuori la struttura. Hanno bisogno di abbraci e baci e soprattutto di contatto fisico. Noi l’abbiamo fatto e vi assicuro che è più quello che hanno lasciato loro a noi che il contrario. Quando l’ultima sera alcuni bambini con gli ochi lucidi ci hanno detto: “hapana Italia hapana Italia” (no Italia no Italia) è stato impossibile trattenere le lacrime. Più tristi che felici di essere tornati a casa in noi c’è forte la volontà di tornare.
Tornare per fare di più e meglio non solo dal punto di vista professionale. Un ultimo consiglio per chi ci succederà. Su 100 bambini incontrati 90 sono scalzi e 70 hanno straccetti più che magliette. Procuratevi magliette taglia S e M e ciabattine infradito 4-10 anni. Le potrete distribuire donandole ai capifamiglia. NON FATELO, per favore, distribuendole direttamente ai bambini. Cerchiamo di non crescere degli accattoni.